Berenguer le quitó la corona

Cesare Milanti
3 min readFeb 4, 2022

Era uno dei primi giorni a Bilbao, settembre. Stavo imparando a conoscere la città, a farla mia in qualche modo. Correvo sulla sponda opposta rispetto a quella del Guggenheim lungo il Nervión, sangue che scorre tra le vene dell’Euskadi, e mi godevo il sole, inconsapevole che un mese dopo non avrei visto nient’altro che pioggia dalla mattina alla sera. Illuso.

A pochi secondi dal ritornello della canzone nelle cuffie e ad altrettanti metri dall’altezza dello Zubizuri - letteralmente “Ponte (= “Zubi”) Bianco (= “zuri”)” - giro la testa alla mia sinistra e una bandiera imponente attira la mia attenzione. Decido di deviare il percorso, tanto il tramonto non si sarebbe presentato ancora per diverso tempo. Mi intrufolo in una delle tante piccole vie intervallate dal verde che questa città (diventata casa) offre, e mi accorgo di essere di fronte alla Comandancia de la Guardia Civil. Approfitto per prendere fiato e rimango impietrito di fronte a due cose: decine e decine di fori da mitragliatrice - o almeno credo, da persona più lontana possibile dal mondo delle armi - lungo la parte inferiore della facciata dell’edificio e un “TODO POR LA PATRIA” a caratteri cubitali. E penso, questa volta tutt’altro che inconsapevole sulla conferma di ciò che il mio cervello stava elaborando in quel momento: “Ma di quale patria parlano?”. Ah sì, la bandiera era gialla e rossa. La Rojigualda, come la chiamano gli altri. Probabilmente - e non sto esagerando - una di quelle che si possono contare sulle dita di una mano girando in lungo e in largo tutta la città. Perché a Bilbao, di sicuro, la patria non è Spagna e la bandiera in cui tutti si avvolgono è l’Ikurrina. Rossa, verde e bianca. Gorri, berde eta zuri.

È anche per questo motivo che il tiro a giro di sinistro di Alex Berenguer, nato a Pamplona e dunque membro effettivo di una squadra che accetta solo giocatori provenienti dall’originaria Euskal Herria, non è solo un tiro. E non è solo un gol, visto che si è insaccato alla destra di Thibaut Courtois. E non è solo una giocata di grande spessore, visto e considerando che l’urlo dei 38.750 che abitavano il San Mamés sarebbe giunto anche dopo un appoggio a porta vuota, una rete priva d’ogni essenza tecnica.

All’ultimo istante, così fa più male, deve aver pensato l’ex Torino. Perché al di là della vittoria dei Blancos di qualche settimana fa in Supercopa de España, Athletic Bilbao e Real Madrid non si sono mai voluti bene, per usare un eufemismo. E il pallone c’entra relativamente, considerando la storia che si è vissuta e continua a respirarsi tra chi vive sull’Atlantico senza Re e chi appoggia la corona sulla propria testa ogni mattino che il Signore manda in terra. Nei cinque mesi in cui sono stato a Bilbao, Felipe Juan Pablo Alfonso de Todos los Santos de Borbón y Grecia si è recato in città solo due volte, ma non si è trattenuto a lungo. Sa di non essere benvoluto, tra le strade che vedono una fiumana di Independentzia dal lunedì alla domenica, festivi inclusi. E lo sa anche il Real Madrid, la squadra che incarna il sentirsi spagnoli per antonomasia.

Todo por la patria, si diceva. Ma i fratelli Williams, Muniain, Iñigo Martínez hanno un’altra patria. Berenguer ha un’altra patria. Quella che vuole indossare il basco, non la corona.

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Cesare Milanti

22 years old, 2 books, 1 Erasmus in Bilbao. Here some non-basketball related stuff (in italian) and the translations of some of my basketball articles.